2020-08-12 09:24:50.350826 by Unknown

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autore:Unknown
Format: epub
pubblicato: 2019-10-11T16:00:00+00:00


Delfina, 2017

Delfina venne a trovarmi l’anno scorso in studio senza fissare l’appuntamento e, quando me la trovai davanti, rimasi senza fiato: fino a sei mesi prima, era ancora in condizioni fisiche discrete e mi intratteneva a lungo raccontandomi tutti i suoi malanni, ma ora, a un primo sguardo, capii che era in fase terminale. Mi sentivo a disagio, nello stato in cui era non c’era più nessuna cura che avrebbe potuto giovarle, ma non me la sentivo di rifiutarle il mio aiuto. Oltretutto, viveva sola con quattrocentocinquanta euro al mese di pensione.

L’avevo operata vent’anni prima per un cancro della mammella sinistra poco più grande di una ciliegia. Avevo fatto una quadrantectomia e nient’altro perché la ricerca del nodulo sentinella ascellare era risultata negativa. Dopo l’intervento l’avevo indirizzata dai colleghi radioterapisti perché la sottoponessero al protocollo di radio e chemioterapia allora in uso. Cinque anni più tardi l’avevo dovuta rioperare per una recidiva del cancro e avevo praticato l’asportazione totale della mammella e lo svuotamento del cavo ascellare, seguiti dai protocolli di chemio, radio e ormonoterapia. Dieci anni dopo questa seconda operazione, quando tutto ormai sembrava risolto, il cancro si era presentato alla mammella destra e avevo dovuto asportarle anche quella e i linfonodi ascellari. Nonostante fosse già in menopausa, avevo giudicato opportuno togliere entrambe le ovaie per prevenire l’insorgenza di metastasi, che invece si erano poi manifestate al fegato e ai polmoni. Gli oncologi medici avevano praticato tutte le terapie antitumorali più idonee e fino a sei mesi prima erano riusciti a rallentare la progressione del tumore, ma poi c’era stata una disseminazione metastatica in tutti gli organi e si era deciso di continuare solo con sedativi e antidolorifici. La conclusione più drammatica di questa triste e sofferta storia fu che la malata non era stata più accettata in nessun ospedale ed era stata seguita a domicilio con cure palliative praticate da una dottoressa specializzata in questo campo.

Con grande fatica riuscì ad arrivare alla sedia davanti alla mia scrivania e si lasciò cadere esausta.

«La vedo molto stanca, Delfina».

«Sono alla fine e sono venuta qui da lei con uno sforzo tremendo per supplicarla di farmi un ultimo grande favore».

Mentre parlava tirò fuori da un sacchetto di plastica una rivista e me la porse, mostrandomi la pagina già preparata che dovevo leggere.

Il titolo dell’articolo era ‘Barthold Berger, il medico che cura gli incurabili’ e poi c’era una sua grande fotografia, seguita da una lunga intervista nella quale il dottore tedesco sosteneva che nella clinica privata appena fuori Milano dove lui lavorava, e dove arrivavano da tutta Italia malati di cancro in fase terminale, riusciva a ridare speranza ai pazienti soli e abbandonati a se stessi grazie a un’assistenza più umana e a speciali fleboclisi preparate apposta per lui in Germania con estratti di erbe medicinali molto efficaci nel far regredire almeno in parte il tumore e nel ridare al paziente forza e serenità. I casi più gravi venivano ricoverati per il tempo necessario a riprendersi, mentre quelli in condizioni meno precarie venivano curati ambulatorialmente con visite di controllo settimanali.



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